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Sms solidali, donazioni, appelli. Gli italiani, generosamente, si mobilitano per la catastrofe che ha colpito Haiti, come già era avvenuto per altre emergenze nazionali ed internazionali. Certamente per solidarietà o per compassione. Forse per rispondere ad un bisogno della propria coscienza.

Ma non solo.

Come spesso i volontari di varie organizzazioni affermano, fare del bene fa stare bene.

E gli esperti lo ribadiscono, spiegando che questo tipo di atti, grazie ai quali le persone si sentono come parte di qualcosa di più grande, sono rivitalizzanti ed emotivamente gratificanti.

Alcuni studi hanno dimostrato che quando le persone si incontrano e collaborano per fare buone azioni sperimentano sentimenti piacevoli. In una ricerca, Liz Dunn, psicologa presso la University of British Columbia di Vancouver, Canada, dimostra che la gente ottiene il massimo beneficio emotivo quando dona del denaro a destinatari che si conosco personalmente o che abbiano una connessione diretta con la causa che si vuole sostenere.

Ad esempio, alcuni preferiscono donare, senza intermediari, a volontari che operano ad Haiti, piuttosto che aiutare la popolazione attraverso una grande organizzazione di beneficenza, con cui, però, non hanno alcun legame.

La situazione di Haiti genera alti livelli di empatia e, quindi, di predisposizione a donare. L’empatia è la capacità, che ogni essere umano possiede, di mettersi nei panni dell’altro e di condividerne le emozioni. Questo meccanismo psicologico potrebbe avere grande influenza sul comportamento altruistico in contesti di emergenza.

Chi guarda la situazione dall’esterno, attraverso le immagini provenienti da giornali e Tv, riproduce in sé la sofferenza osservata sui volti dei sopravvissuti, sperimentando uno stress indotto, che l’individuo cerca di ridurre in qualche modo.

Trovandosi nell’impossibilità di agire sul posto, utilizza la donazione in beni o denaro, al fine di far cessare questa spiacevole sensazione. Oppure, ritenendosi molto fortunato, può credere che sia un dovere morale contribuire alle necessità della popolazione colpita, una sorta di ringraziamento, quasi un ex-voto, per avere ricevuto “la grazia” di non essersi trovato nel mezzo di una simile tragedia.

Sicuramente, ogni sentimento umano, compreso l’altruismo, è il risultato di una complessa interazione fra cultura, genetica e personalità, ma, in generale, un comportamento solidale, se ben gestito, produce effetti positivi in chi lo emette e in chi ne è destinatario.

Non tutti però sono attratti dalle sensazioni piacevoli stimolate dalla solidarietà: “gli avari”, infatti, scelgono di non esporsi, non contribuire, non condividere.

La Dunn e i suoi collaboratori hanno scoperto che quando le persone preferiscono accumulare e trattenere, ignorando i bisogni degli altri, attivano un senso di vergogna, che, a sua volta, porta a livelli elevati di cortisolo, un ormone generalmente associato allo stress.

Essere avari può far male alla salute, dunque.

I ricercatori del Centro sulla Filantropia dell’Indiana University hanno scoperto che un maggiore livello di istruzione, di reddito e di benessere sono associati alle donazioni più consistenti; le persone meno abbienti,invece, contribuiscono più frequentemente, anche se con piccole somme.

  

Dott. Michela Rosati
Psicologa Psicoterapeuta
www.michelarosati.it