C’è una sospensione tra il parlare e l’ascoltare. È sorta di danza, fatta di parole e silenzi.
Una danza ormai sempre più rara, quasi una scoperta da antropologi.
Perché se ci aspettiamo di sentir parlare le persone di se stesse in ambienti professionali, per distinguersi, per ottenere una promozione, magari per arrivare a un contatto che porterà alla svolta, ce lo aspettiamo molto meno fra amici, parenti o conoscenti.
Hai presente le cene in cui una persona monopolizza la conversazione, a lungo, parlando degli affari suoi, lanciandosi in monologhi quasi impenetrabili?
Certo, magari è un fatto culturale. Io stessa incoraggio mia figlia a parlare, a esprimere le sue esigenze, a far presente il suo punto di vista. È essenziale per costruire la fiducia e l’autostima. Essere assertivi sembra un imperativo. Ma ci adoperiamo per dare all’ascolto la stessa importanza?
La magia della conversazione riguarda entrambe le posizioni: parlare e ascoltare, porre domande e lasciarci cullare dalle emergenti risonanze e dalle differenze. David Bohm afferma che “se vogliamo vivere in armonia con noi stessi e con la natura, dobbiamo essere in grado di comunicare liberamente in un movimento creativo in cui nessuno si attacca o difende in modo permanente le sue proprie idee.”
In un’epoca come la nostra, in cui misuriamo l’effetto che facciamo sugli altri basandolo sui “Mi piace”, una conversazione semplice ma profonda è destinata a scomparire.
Il divario tra l’atteggiamento che teniamo al lavoro e quello che abbiamo fuori si sta riducendo. Figli di una società imprevedibile, precaria e ansiogena, investiamo e scommettiamo su noi stessi. E così, trasformare i dialoghi in monologhi sembra una tattica di sopravvivenza. Sappiamo di aver bisogno del sostegno dei nostri amici, dell’ammirazione della nostra comunità, costruiamo la nostra “reputazione” e sentiamo di dover difendere tutto e sempre.
Piuttosto che scambi profondi radicati nella curiosità, le nostre conversazioni diventano performance allo scopo di ottenere qualcosa.
Ma quanto perdiamo a calcare il palco ogni giorno? Cosa perdiamo dell’altro? E quanto di noi?
Se ci sentiamo intrappolati in questa dinamica, la prossima volta che ci riuniamo facciamo nuove domande. Non immagini neppure come una nuova domanda possa far sentire una persona che conosci bene.
Quando ci permettiamo, almeno per una sera, di non essere così concentrati sul dover dare il meglio di noi, possiamo recuperare il nostro prossimo dalla buia platea in cui l’avevamo relegato e impegnarci in un vero scambio. L’ascolto concentrato e profondo ci fa scoprire un modo completamente nuovo di rispondere al nostro inalienabile bisogno di connessione.
Che bello tornare ad ascoltarsi…
Sfida
Invita gli amici. Mentre li aspetti fai dei respiri profondi, ricordati della tua intenzione di connetterti. Poi prova a fare alcune domande:
- Se potessi parlare al te stesso adolescente, cosa ti diresti?
- Cosa hai imparato quella volta che sei stato così male ?
- Quando hai capito di non essere più un bambino?
- Qual è il miglior consiglio che tu abbia mai ricevuto?
- Della tua famiglia di origine che cosa porti e che cosa lasci?
- Su quale cosa importante hai cambiato radicalmente idea?
- Cosa faresti se potessi fare un lavoro diverso?
- Sei stato cresciuto con l’idea di essere indipendente o con quella di restare fedele alla famiglia?