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Ogni anno, disastri naturali come i tornado, gli uragani, le inondazioni, le alluvioni, i terremoti, gli incendi colpiscono milioni di persone nel mondo. Coloro che sopravvivono ad eventi di questo genere si ritrovano spesso a dover affrontare la perdita di alcuni familiari, delle case, dei beni, delle comunità in cui vivevano.
Tutto ciò può mettere in serio pericolo la salute mentale e la possibilità di potersi riprendere dopo una simile esperienza, riadattandosi fisicamente ed emotivamente alla nuova situazione. Le ricerche hanno evidenziato che in conseguenza di gravi disastri naturali (come, ad esempio, il terremoto in Armenia o l’uragano Andrew negli Stati Uniti), un’alta percentuale dei sopravvissuti partecipanti allo studio riportava uno stress clinicamente significativo o addirittura una vera e propria psicopatologia.
Il disturbo più frequentemente rilevato è il Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT), seguito da Depressione maggiore ed Ansia generalizzata. Chi è affetto da DSPT in genere rivive l’esperienza traumatica attraverso incubi e flashback, cerca di evitare qualsiasi pensiero, persona o situazione associati o simili all’evento traumatico, può soffrire di insonnia e sentirsi continuamente in allerta, con un senso di distacco dalla realtà.
Questi sintomi possono comparire immediatamente dopo l’evento traumatico o a distanza di molti mesi e sono talmente invalidanti da compromettere significativamente la vita quotidiana delle persone che ne soffrono.
Quali sono, dunque, i maggiori fattori di rischio identificati dagli studiosi?
Certamente, primo fra tutti, il grado di intensità con cui si è stati esposti al disastro.
Possono giocare un ruolo importante sia l’esposizione diretta, sia l’aver avuto contatti con le vittime.
Minori le conseguenze per chi, invece, ha solo ricevuto notizie indirette della devastazione avvenuta.
Altri fattori di rischio sono legati al sesso e all’età del soggetto: le donne e gli adulti, fra i 40 e i 60 anni, riportano un livello di stress molto più marcato.
Un ruolo fondamentale è giocato dalle proprie risorse personali, poiché non tutti reagiscono a tali eventi nello stesso modo. L’essere molto fatalisti, ad esempio, sembrerebbe associato ad esiti psicologici più negativi, poiché diminuirebbe il senso di autocontrollo sugli eventi della propria vita, con il deleterio effetto di ricercare meno attivamente aiuto e supporto sociale.
Anche aver riportato dei danni fisici, aver provato un intenso panico durante il disastro, la separazione dai propri familiari, la perdita dei beni, avere avuto una vita stressante prima del disastro contribuiscono notevolmente a rendere più alto il rischio di patologie mentali.
Tuttavia, nonostante questi dati allarmanti, sono molti i sopravvissuti, che evidenziano soltanto per un breve periodo reazioni allo stress del tutto normali, tra cui:
1)reazioni emotive, come ad esempio un sentimento di shock, paura, rabbia, risentimento, colpa, mancanza di speranza, difficoltà nel provare ancora sentimenti come l’amore o l’affetto, perdita di interesse o di piacere nelle attività di ogni giorno;
2) reazioni cognitive, come la confusione, il disorientamento, l’indecisione, la preoccupazione, la difficoltà di concentrazione, la perdita di alcuni ricordi o flashback di situazioni spiacevoli che tornano improvvisamente alla memoria;
3) reazioni fisiche, come la tensione, l’affaticabilità, disturbi del sonno, dolori fisici, palpitazioni, nausea, cambiamenti circa le abitudini alimentari, cambiamenti rispetto alle abitudini sessuali;
4) reazioni che riguardano le relazioni interpersonali, come la sfiducia negli altri, l’irritabilità, la conflittualità, l’isolamento, il sentimento di essere rifiutati o abbandonati, la sensazione di essere distanti o ipercontrollanti, a scuola, al lavoro, in coppia o in famiglia.
Se trascurati, questi sintomi possono rappresentare il preludio di disturbi psicologici ben più seri ed invalidanti.
Autore: Michela Rosati, Psicologa Psicoterapeuta
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